Il fatto politico

Appendino lascia la vicepresidenza M5S e contesta Conte: troppo schiacciato sul PD

Un gesto formalmente simbolico — il mandato sarebbe scaduto la prossima settimana — che però ha il sapore della crepa nella diga: non allaga il campo, ma ne mostra la pressione crescente.

Il Corriere Redazione

18 Ottobre 2025 - 20:59

appendino lascia la vicepresidenza m5s: sfida a conte e identità in bilico

“Ben venga il confronto, ma la bussola deve essere il bene del Movimento”, ha replicato Conte, facendo intendere che la priorità non è il posizionamento interno dei singoli, bensì la tenuta complessiva della comunità.

È uno strappo annunciato, ma non per questo meno significativo. Chiara Appendino, deputata ed ex sindaco di Torino, ha rassegnato le dimissioni dalla vicepresidenza del Movimento 5 Stelle, contestando la linea di Giuseppe Conte, giudicata troppo schiacciata sul Pd. Un gesto formalmente simbolico — il mandato sarebbe scaduto la prossima settimana — che però ha il sapore della crepa nella diga: non allaga il campo, ma ne mostra la pressione crescente. È davvero solo una mossa tattica o il primo sintomo di un cambio di fase per il M5S? La risposta, come spesso accade in politica, si gioca sul terreno dell’identità.

LO STRAPPO DI APPENDINO: “MANI LIBERE” E IDENTITÀ IN DISCUSSIONE
Appendino ha affidato ai social la cornice politica del suo passo indietro: “Dobbiamo avere il coraggio di cambiare traiettoria. Io ci sarò. Solo un M5s con le mani libere, con una forte identità, può essere davvero parte di un fronte progressista capace di cambiare le cose e battere la destra di Meloni”. L’affondo è diretto: il problema non è l’alleanza in sé, ma il rischio di diluirsi in un indistinto campo largo. “Il problema è nella nostra identità, nella direzione politica”, ha scritto. Di per sé, le dimissioni non producono scossoni organizzativi immediati. Ma la tempistica e il contesto sono il cuore della vicenda: si tratta della prima presa di posizione di peso contro Conte da quando, con la Costituente di fine 2024, il Movimento ha estromesso il fondatore Beppe Grillo, sancendo un nuovo baricentro interno. In quella geografia rinnovata, la voce di Appendino suona come quella di un altoparlante acceso in una piazza silenziata da mesi.

# SETTE ORE DI CONSIGLIO NAZIONALE: DIBATTITO ACCESO E “PROCESSO” PERCEPITO
L’annuncio delle dimissioni è arrivato all’inizio del consiglio nazionale del M5S, una sorta di parlamentino del partito, riunito via streaming in un incontro fiume durato quasi sette ore. Sia Giuseppe Conte sia Appendino hanno preso la parola più volte. “Un processo contro di me”, lo avrebbe definito l’ex sindaca di Torino, raccontando di essersi sentita “sul banco degli imputati”. Non c’è stata, però, alcuna minaccia di scissione né la volontà di dar vita a una corrente. Anzi, Appendino ha marcato il perimetro del dissenso: “La spinta del M5s sembra essersi esaurita. Siamo diventati troppo attenti agli equilibri interni, troppo preoccupati degli accordi di palazzo. La nostra sfida non può essere snaturarci per conquistare qualche posto di potere in più”. Parole che, più che un addio, suonano come un richiamo alle origini, all’immagine di un Movimento nato per “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno” e ora percepito da alcuni come assorbito nei rituali della politica tradizionale.

# CONTE E LA “BUSSOLA DEL BENE COMUNE”: IL LEADER PREPARA LA VERIFICA
“Ben venga il confronto, ma la bussola deve essere il bene del Movimento”, ha replicato Conte, facendo intendere che la priorità non è il posizionamento interno dei singoli, bensì la tenuta complessiva della comunità. Alla vigilia di partite dirimenti — la manovra economica e i test delle regionali — i vertici temono che il logoramento interno sottragga energie alla contesa principale, quella con la destra guidata da Giorgia Meloni. La prossima settimana l’assemblea degli iscritti del M5S voterà on line la conferma di Giuseppe Conte alla presidenza: il suo ruolo, si sottolinea, non sembra in discussione. Una volta ottenuto il via libera, il leader indicherà i nuovi vicepresidenti. È qui che le dimissioni di Appendino assumono un significato politico: più che un cambio di caselle, delineano la nascita di un’area di minoranza riconoscibile.

## LA LINEA DEL VERTICE E IL RICHIAMO ALL’UNITÀ
Nel corso del consiglio nazionale, a sostegno di Conte si sono schierati gli altri vertici: i vicepresidenti Paola Taverna e Michele Gubitosa, e i capigruppo Riccardo Ricciardi e Stefano Patuanelli. Molti hanno fatto notare ad Appendino che il consiglio è “la sede opportuna” del confronto, non i retroscena e le indiscrezioni filtrate ai media. Un appello al metodo prima ancora che al merito, come a dire: prima si discute in casa, poi si decide come presentarsi fuori.

IL NODO PD: ALLEANZA TATTICA O SNATURAMENTO STRATEGICO?
La critica di Appendino alla linea “troppo schiacciata sul Pd” riapre una domanda di fondo: l’alleanza progressista è il veicolo per battere la destra o il rischio di sciogliersi in un indistinto campo medio? È la differenza tra un ponte e una fusione: il primo collega rive diverse mantenendo l’identità di ciascuna, la seconda le confonde in un unico corpo. Il Movimento ha storicamente capitalizzato l’autonomia identitaria: quando l’ha smarrita, ha pagato dazio. Eppure, in un sistema politico sempre più polarizzato, isolarsi potrebbe equivalere a condannarsi all’irrilevanza. Dov’è la linea sottile tra coerenza e settarismo? È il dilemma che attraversa non solo i pentastellati, ma l’intero fronte progressista.

# LE VOCI CRITICHE: RAGGI DEFILATA, TONINELLI ALL’ATTACCO
Le crepe, si sa, non nascono mai da un solo colpo. Virginia Raggi, ex sindaca di Roma, da tempo non nasconde un certo disagio. E Danilo Toninelli, ex ministro, parla senza giri di parole: “Le dimissioni di Appendino non cambiano il destino di un M5s ormai snaturato e politicamente finito, ma hanno almeno il merito di rompere il silenzio. Il gesto di Appendino arriva tardi, ma conferma che qualcosa dentro il M5S si è rotto e che molti non si riconoscono più nel progetto personale di Conte”. Parole dure, che fotografano uno scontento diffuso ma frammentato. Toninelli, però, esclude percorsi comuni con Appendino: “Faccio altro nella vita”. Anche questo è un segnale: la critica esiste, ma non si coagula in una sfida organizzata alla leadership.

## APPENDINO, DA VICEPRESIDENTE A RIFERIMENTO DI MINORANZA
Di fatto, l’ex sindaca di Torino diventa un punto di riferimento per chi chiede “mani libere” e una più marcata identità. Senza minacciare scissioni né organizzare correnti, Appendino occupa lo spazio simbolico della coscienza critica. È davvero un ruolo residuale? Non necessariamente: nelle fasi di assestamento, le minoranze orientano l’agenda, costringono i gruppi dirigenti a esplicitare le strategie, a mettere in chiaro priorità e confini.

I PROSSIMI APPUNTAMENTI: GRUPPI PARLAMENTARI ALLA PROVA
La tenuta dei gruppi parlamentari sarà il vero stress test. Lunedì è attesa la “seconda puntata” dell’assemblea congiunta di Camera e Senato. Il primo round si è svolto martedì scorso, quando Appendino ha cominciato a ventilare l’ipotesi del passo indietro. Lì si misurano le fedeltà, si contano gli applausi, si sondano gli umori: politica in corpore vivo. Se prevarrà la linea dell’unità e della verifica interna, il M5S potrà attraversare questa turbolenza con danni contenuti. Se, invece, emergeranno altri malumori espliciti, il rischio è che il dibattito diventi un logoramento permanente.

# MANOVRA E REGIONALI: IL BANCO DI PROVA DELL’EFFICACIA
La manovra economica e le prossime regionali non sono solo scadenze sul calendario: sono il termometro dell’efficacia politica. Una forza che ambisce a guidare il “fronte progressista” deve mostrare proposta, coerenza e riconoscibilità. È qui che la critica di Appendino trova il terreno più scivoloso e insieme più fecondo: come coniugare l’identità con la necessità di alleanze? Come evitare di “snaturarsi” senza rinunciare all’obiettivo di “battere la destra di Meloni”? Domande che, più che dividere, dovrebbero spingere a chiarire la rotta.

## IL PARADOSSO PENTASTELLATO: DA ANTI-SISTEMA A ARCHITRAVE DELL’OPPOSIZIONE
Da movimento anti-sistema a potenziale architrave dell’opposizione: il tragitto pentastellato è stato un continuo cambio di pelle. Con la Costituente di fine 2024 e l’estromissione di Beppe Grillo, il M5S ha scelto di istituzionalizzarsi sotto la guida di Giuseppe Conte. Ma ogni istituzionalizzazione porta con sé il rischio di perdere la spinta propulsiva originaria. Il richiamo di Appendino è, in fondo, un promemoria: un partito può crescere, ma non deve dimenticare da dove viene. Come una vela che si allarga, ma ha bisogno di restare ben ancorata all’albero maestro.

SCISSIONE? NO. MA LA FAGLIA C’È E NON SI RICUCE DA SOLA
Nessuna scissione all’orizzonte, nessuna “corrente” formalizzata. Eppure la faglia è visibile e non si sanerà per inerzia. Servirà un patto politico, non solo organizzativo: definire il perimetro dell’alleanza col Pd, ribadire la qualità non negoziabile dell’identità pentastellata, fissare priorità programmatiche in grado di parlare a un elettorato che ha scelto il M5S per quello che era, e potrebbe risceglierlo per quello che torna a essere. La politica, come un equilibrio sul filo, richiede passo fermo e sguardo lungo. La settimana che porta al voto on line degli iscritti e all’assemblea dei gruppi dirà se il Movimento saprà ritrovare una “bussola” condivisa o se la crepa, da simbolica, rischia di diventare strutturale.

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