L'ultimo segmento del giallo di Potenza
29 Dicembre 2023 - 15:14
POTENZA- Due giornalisti investigativi continuano a ripetere che bisogna tornare a lavorare su chi ha aiutato Danilo Restivo a occultare il cadavere di Elisa Claps e a farla franca per 17 anni. Sono Fabio Amendolara e Fabrizio Di Vito e dai primi giorni di novembre, ovvero da quando hanno presentato il loro libro inchiesta Elisa Claps, Indagine nell'abisso della Chiesa della Trinità (EdiMavi, 200 pagine), cercano di squarciare una cortina che 30 anni dopo il delitto sembra ancora impenetrabile. «Anche se gli inquirenti di Salerno, sin dal primo capo d'imputazione preparato all'indomani del ritrovamento dei resti di Elisa nel sottotetto della chiesa della Trinità, hanno addossato tutte le colpe solo sull'assassino, ritenendolo anche il regista e l'esecutore dell'occultamento, le carte dell'inchiesta dicono ben altro», spiegano. Secondo i due cronisti ci sono ancora «decine di indizi non considerati, reperti mai analizzati, alcuni dei quali particolarmente importanti (come una macchia di sangue, alcune impronte di calzature, formazioni pilifere e capelli trovati nel sottotetto), e testimoni da riascoltare». Inoltre, nel libro riportano un eloquente passaggio della sentenza d’appello scritta dai giudici di Salerno: «L’esperienza di tanti processi ci conforta su come non è tanto difficile commettere un omicidio, quanto piuttosto è difficile, estremamente difficile, occultare il corpo della vittima. Ciò riesce bene alle grandi organizzazioni criminali di stampo mafioso-camorristico perché possono contare su una rete di appoggi e di complicità sul territorio che consente di far sparire le tracce di gravi ed efferati delitti. È stato coniato anche un termine entrato nella casistica giudiziaria: lupara bianca (…). Ma per un semplice individuo, vuoi il Restivo, la cosa era tutt’altro che semplice, per non dire quasi impossibile». Partendo da questa valutazione, i giornalisti hanno messo in fila una serie di elementi che riaprono quello che definiscono «l'ultimo segmento mai esplorato del caso Claps», che porta dritto ai supporter di Restivo. Mentre i riflettori sono tutti ancora puntati sulla riapertura della chiesa della Trinità, su Restivo è ormai completamente calato il silenzio. La giustizia e i media (anche se non tutti) sembrano essersi accontentati della condanna di Danilo nella doppia qualità di assassino e di occultatore dei resti di Elisa. «L’unico aspetto che le indagini sembrano aver approfondito è legato al sostegno fornito a Danilo dai suoi parenti più stretti che, però, non chiude definitivamente l’ultimo capitolo del caso», scrivono nel libro i giornalisti. Ma, avvertono Amendolare e Di Vito, «immaginare Maurizio Restivo come un uomo talmente potente da riuscire a condizionare l’attività di poliziotti (il cui turnover in Questura nel corso di 17 anni è stato notevole), di magistrati di ben due Procure, di giudici, di testimoni, di giornalisti, di vescovi e sacerdoti, però, risulta davvero difficile. In realtà quella del soccorso familiare è solo la strada investigativa più facile». E poi c'è anche la logica a dimostare che Danilo non può aver fatto tutto da solo: stando alle ricostruzioni della Procura di Salerno, sarebbe salito con Elisa nel sottotetto, l'avrebbe uccisa, avrebbe occultato in fretta il cadavere, praticando anche un'apertura nel tetto per la fuoriuscita dei miasmi e sarebbe riuscito a tornare a casa (non proprio a due passi dalla chiesa) a piedi in poco più di un'ora. «I resti di Elisa, però, dovevano essere stati ben coperti, se gli operai che hanno lavorato nel sottotetto nel 1996 non hanno visto nulla», spiegano gli autori del libro. O, forse, si chiedono, pur indagati, «non sono stati messi davvero alle strette». «Emerge una chiara differenza di approccio», sostengono, «nelle indagini alle quali sono state sottoposte le due signore delle pulizie, intercettate e sottoposte a confronto con il sacerdote, e quelle nei confronti degli operai». Secondo i due giornalisti «non ci si può accontentare della conclusione alla quale è giunta la Procura di Salerno, cioè che qualcuno abbia imposto il silenzio a chi ha lavorato nel sottotetto». Le coperture, inoltre, sembrano essere andate avanti fino all'ultima fase dei processi. «Bisogna capire, per esempio», secondo Amendolara e Di Vito, «come è stato possibile che il processo per falsa perizia al quale è stato sottoposto il genetista che non trovò il Dna di Danilo sulla maglia di Elisa (trovato invece dai carabinieri del Ris) si sia chiuso con la prescrizione già in primo grado». E poi c'è stato un ultimo depistaggio, del quale mai nessuno si è occupato. Quando tutti i processi erano chiusi uno scritto anonimo indicava un testimone da ascoltare, sostenendo che non era mai stato convocato. I due giornalisti, però, nel grande mare della documentazione prodotto dalle inchieste sull'omicidio di Elisa sono riusciti a trovare il suo verbale. Era stato dunque già sentito. «Perché spostare l'attenzione su quel personaggio?», si chiedono i giornalisti. Ma, soprattutto, cercano di stringere il cerchio su chi si sia preso la briga di prendere carta e penna per allontanare di nuovo l'attenzione da qualcosa di più importante. «Chi può avere un interesse a depistare», si chiedono, «se non qualcuno che ha ancora paura che esca fuori un suo coinvolgimento nel caso Claps?». Gli elementi per ripartire, insomma, non mancano.
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