Il premio letterario

La scrittrice napoletana Wanda Marasco vince il Campiello

Marasco conquista la 63ª edizione con 86 voti grazie a “Di spalle a questo mondo” (Neri Pozza), superando di tre preferenze “Bebelplatz” (Sellerio) di Fabio Stassi, fermo a 83.

Il Corriere Redazione

14 Settembre 2025 - 00:06

premio campiello 2025: la vittoria di wanda marasco e l’anno dei romanzi che interrogano il nostro sguardo

“Ho molta gioia di questo premio. È come se mettessi un chiodo duro e morbido nello stesso tempo alla mia storia”, ha detto Wanda Marasco subito dopo la proclamazione. Un’immagine che racconta la natura concreta e insieme elastica della scrittura quando cerca di fissare l’inafferrabile: l’imperfezione, la fragilità, la conoscenza che nasce dagli scarti.

Nella serata in cui i libri si fanno ascoltare anche attraverso le canzoni, il Premio Campiello 2025 ha ritrovato il brivido del testa a testa. Wanda Marasco conquista la 63ª edizione con 86 voti grazie a “Di spalle a questo mondo” (Neri Pozza), superando di tre preferenze “Bebelplatz” (Sellerio) di Fabio Stassi, fermo a 83. Un margine sottile come una lama, raro nella finale degli ultimi anni, che dice molto non solo sulla qualità dei libri in gara, ma sulla temperatura emotiva di un premio che resta, a Venezia, un rito civile e letterario.

# UN CHIODO “DURO E MORBIDO”: LA VOCE DI WANDA MARASCO
“Ho molta gioia di questo premio. È come se mettessi un chiodo duro e morbido nello stesso tempo alla mia storia”, ha detto Wanda Marasco subito dopo la proclamazione. Un’immagine che racconta la natura concreta e insieme elastica della scrittura quando cerca di fissare l’inafferrabile: l’imperfezione, la fragilità, la conoscenza che nasce dagli scarti. Ambientato a Napoli alla fine dell’Ottocento, “Di spalle a questo mondo” dà corpo a quel dramma nei personaggi del medico Ferdinando Palasciano, figura storica, e della moglie, la contessa Olga Pavlova Vavilova, guarita da una zoppia. Due corpi, due biografie e un’epoca: bastano a una scrittrice per aprire un varco? Marasco risponde affidandosi a un vettore tematico preciso: la follia come forma di sapere. “In tutti i miei romanzi ho usato la follia come un terzo sguardo, una capacità di rivelare l’uomo e i suoi mostri, le sue visioni”, ha spiegato, evocando “Amleto”, che “fa passare la sua follia attraverso la parola, il teatro, per svelare la verità”. Non è un gesto provocatorio, ma un ritorno alla grande tradizione in un libro definito, non a caso, l’unico vero romanzo classico di questa edizione. A sottolinearne l’intensità, nel corso della serata, la canzone “La cura” di Franco Battiato: un contrappunto affettivo e filosofico, perfetto per una narrazione che esplora il confine tra terapia e rivelazione, tra l’ombra e la responsabilità di guardarla.

# UN TESTA A TESTA CHE RACCONTA IL NOSTRO PRESENTE
Che cosa racconta, però, una finale decisa per tre voti? Che il Campiello rimane un barometro della sensibilità dei lettori, grazie alla giuria dei Lettori Anonimi (282 votanti su 300), ma anche che la letteratura, nelle sue forme più diverse, sta cercando strumenti per dire l’oggi. La vittoria di Marasco parla di una tensione classica, di un bisogno di struttura e profondità. L’inseguimento serrato di Fabio Stassi segnala la vitalità di un’altra direttrice: interrogare la storia recente, i tabù del potere, la fragilità delle biblioteche, fisiche e interiori. La cornice istituzionale ha dato alla serata il suo respiro: la prima edizione da presidente per Raffaele Boscaini, alla guida della Fondazione Il Campiello e di Confindustria Veneto, che ha parlato di “radici solide” e di un premio che “guarda al futuro”. In platea il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e Luca Zaia, al suo ultimo Campiello da governatore del Veneto: presenze che ribadiscono il ruolo del premio come crocevia tra cultura, territorio e industria.

# BEBELPLATZ: I ROGHI DEI LIBRI E L’IDEA DI LETTERATURA SECONDO FABIO STASSI
Il romanzo di Fabio Stassi porta un titolo che è già una scena: “Bebelplatz”, la piazza berlinese dei roghi nazisti. I suoi 83 voti non sono solo un piazzamento; sono una conferma della forza di un progetto narrativo che mette al centro la censura, i libri bruciati e chi, trasgredendo, difende la parola. Stassi lo definisce un libro nato “da quel grande rogo esistenziale e politico che è stata la pandemia”: un trauma collettivo che ha riplasmato le nostre priorità e i nostri archivi intimi. Tra le figure che ritrova, anche Emilio Salgari: un nome emblematico, l’eroismo dell’altrove contrapposto alla claustrofobia del reale. La canzone associata, “Il gatto e la volpe” di Edoardo Bennato, aggiunge un sottotesto ironico e amaro: la fiaba come pedagogia della disobbedienza, la maschera che smaschera. La distanza minima che separa Stassi da Marasco è il segno di un’ansia interpretativa condivisa: da un lato la follia come sapere, dall’altro il fuoco come memoria. Due metafore cardinali del Novecento che tornano nel presente, come se le ceneri non si fossero mai disperse davvero.

# FERITE INTERIORI E GEOGRAFIE FERROSE: PARESCHI, PRUNETTI, BELPOLITI
Terza a sorpresa con 58 voti, Monica Pareschi porta “Inverness” (Polidoro), una raccolta di racconti “taglienti, spietati”, popolata dai mostri della nostra interiorità. “La verità sull’amore” di Luca Barbarossa – lo stesso Barbarossa che in serata affianca la conduzione con la sua Social Band – fa da specchio: come se i brani fossero incisioni su rame, la musica ne solleva le linee dure, non per consolare ma per definire i contorni. Con “Troncamacchioni” (Feltrinelli), 36 voti, Alberto Prunetti riporta la letteratura nella Maremma dell’interno minerario, tra colline metallifere che si spopolano. Documenti e memorie popolari diventano materia narrativa: un lavoro di archeologia sociale che non è nostalgico, ma implacabile. “Oggi la storia la fanno i perdenti come chi fugge da Gaza”, ha detto lo scrittore. Frase che risuona con “La storia siamo noi” di Francesco De Gregori, la canzone a lui abbinata: una dichiarazione che rifiuta la retorica del vincitore e chiede di sporgersi oltre la superficie. Chiude con 19 voti Marco Belpoliti e il suo “Nord Nord” (Einaudi): un itinerario da Milano alla Brianza e a Monza per interrogarsi su che cosa significhi, oggi, “il Nord”. Il libro incontra figure come Alberto Arbasino e Ferdinando Scianna, quasi fossero pietre miliari in una topografia sentimentale. Se Napoli di fine Ottocento rappresenta per Marasco un laboratorio delle passioni, il Nord di Belpoliti diventa un reticolo di simboli da decifrare: non un punto cardinale, ma una domanda.

# UN PALCOSCENICO CHE INTRECCIA MEMORIA, MUSICA E TELEVISIONE
La finale, trasmessa in diretta su Rai5, è stata condotta per la prima volta dalla giornalista Giorgia Cardinaletti, con Luca Barbarossa e la sua Social Band a dare una tonalità musicale all’evento. Non un vezzo, ma una cifra: i brani scelti – da Battiato a Bennato, da Barbarossa a De Gregori – sono stati una lente emotiva sui libri. La letteratura, insomma, ha cantato con parole altrui, e non è una contraddizione: come in un coro, le voci si rafforzano. In apertura, il ricordo di Stefano Benni, scomparso il 9 settembre, affidato a video e parole sue: “Io non voglio morire e a morire non riuscirò mai”. Un commiato che suona come manifesto: la letteratura non elimina la morte, ma la costringe a un dialogo infinito.

# GIURIE, ISTITUZIONI, PASSAGGI DI TESTIMONE
A presiedere la Giuria dei Letterati è stato Giorgio Zanchini, dopo i quattro anni di Walter Veltroni: un cambio di passo che non cancella la continuità, semmai la rilancia. La nuova presidenza di Raffaele Boscaini alla Fondazione Il Campiello – sottolineata come “un grande onore e una grande responsabilità” – colloca il premio nel suo crinale naturale: tra l’industria che produce e sostiene e la cultura che interpreta e resiste. In platea, le istituzioni: Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, e Luca Zaia, al suo ultimo Campiello da governatore. La politica, qui, non occupa la scena; la abita, riconoscendo alla letteratura un valore civico.

## LE ALTRE VOCI PREMIATE: CONTINUITÀ E NUOVE ROTTE
Non è solo un podio. Il Campiello è anche un orizzonte largo. Il Premio alla carriera è andato a Laura Pariani, che ha ricordato il suo primo Campiello nel 1998: una memoria che diventa misura del tempo, come i cerchi nei tronchi degli alberi. L’Opera Prima a Antonio Galletta per “Pietà” (Einaudi) indica la fiducia nei debuttanti, mentre il Premio Giovani a Giacomo Bonato, 17 anni, di Arquà Petrarca (Padova), per “Verso Oriente” ragiona già sul futuro del canone: come scrivono i più giovani, quali mondi evocano, quali domande consegnano ai lettori? Premiate anche Ilaria Mattioni e Chiara Carminati per il Campiello Junior: una porta aperta sulla formazione, sull’abitudine alla lettura come gesto quotidiano. E Lauro Marchetti, vincitore della terza edizione del Campiello Natura – Premio Venice Gardens Foundations, ricorda che i libri non nascono in un vuoto sterile ma nel respiro degli ecosistemi, nel rapporto tra paesaggio e comunità.

# NAPOLI FIN DE SIÈCLE, BERLINO DI CARTA, NORD IN MOVIMENTO: LA MAPPA DI UN’EDIZIONE
Che cosa unisce, in ultima analisi, Napoli di fine Ottocento, i roghi di Bebelplatz e un viaggio al Nord? Forse l’idea che ogni geografia sia morale prima che fisica. La follia come “terzo sguardo” di Marasco scava nell’umano; il fuoco di Stassi chiede conto alla storia dei suoi silenzi; i racconti di Pareschi aprono fenditure nell’intimità; il lavoro di Prunetti salva dall’oblio una Maremma ferrosa che si svuota; il percorso di Belpoliti smonta il mito del Nord restituendolo a domanda. La letteratura, qui, appare per quello che è nei suoi giorni migliori: una bussola che non indica il nord, ma il movimento. E allora, perché il Campiello continua a contare? Perché tiene insieme riti e sorprese, palchi e biblioteche, memoria e scommessa. Perché ogni anno, a Venezia, ci ricorda che i libri non sono soltanto oggetti, ma atti: atti di conoscenza, di resistenza, di cura. E perché, in una serata che omaggia Stefano Benni e affida la scena a nuove voci, sembra dirci che la letteratura, quando prova a morire, finisce per rinascere altrove, un passo più in là.

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