Il caso
12 Agosto 2023 - 11:11
La strate di Sant'Anna di Stazzema, il 12 agosto 1944
Non viene però ricordato che una legge italiana del 1962 rese indenne la Germania da pretese risarcitorie da parte delle vittime, dopo aver liquidato forfettariamente 40 milioni di marchi dell'epoca. Una beffa reiterata dalla Corte Costituzionale che, con una sentenza depositata il 20 luglio scorso, stabilisce che non è illegittima l'estinzione delle procedure esecutive nei confronti di Berlino per il risarcimento dei danni per crimini di guerra e contro l'umanità commessi durante la seconda guerra mondiale. Ma viene anche taciuto che a pagare per i crimini di guerra nazisti devono essere gli italiani grazie al Governo di Draghi che, con la legge 36 del 30 aprile 2022 riguardante misure urgenti per l'attuazione del Pnrr, ha istituito un fondo di 55milioni di euro, rimpinguato dal governo Meloni fino a 61 milioni. Ma anche il fondo è una presa in giro di Draghi e Meloni perché le cause aperte dei parenti delle vittime delle stragi naziste in Italia sono 780 con richiesta di risarcimenti per 800milioni di euro.
LA CLASS ACTION
La prima si chiama Antonucci Disma, classe '43, nata a Stazzema. L'ultima Vecoli Mita Piera, classe '47, nata a Camaiore. Sono 92, superstiti o parenti delle 560 vittime (130 bambini) della strage nazifascista di Sant'Anna di Stazzema, all'alba del 12 agosto 1944, durata meno di quattro ore. Incasellati in ordine alfabetico in un voluminoso atto di citazione per risarcimento danni "contro la Repubblica Federale di Germania, in persona del legale rappresentante pro tempore presso l'Ambasciata con sede in Roma". E' la prima class action di questo genere, appena cominciata a Firenze. "Una causa pilota, la più numerosa, rispetto alle altre avviate in ogni luogo d'Italia - da Marzabotto alle Fosse Ardeatine - dove stragi, eccidi e deportazioni tra il 1939 e il 1945 fecero circa 24mila morti - scrive La Stampa -. Dopo i sessanta processi istruiti nell'immediatezza dagli angloamericani, la storia delle stragi nazifasciste è segnata dall'impunità. I 900 fascicoli che le documentavano furono ritrovati solo nel 1994 nella cancelleria della Corte militare di Roma. 'L'armadio della vergogna' che li aveva custoditi per mezzo secolo aveva le ante rivolte verso il muro ed era chiuso con una catena. 'Un insabbiamento', secondo il Csm. Su 60 condannati all'ergastolo nei successivi processi, solo tre hanno scontato la pena. La Germania non ha mai concesso l'estradizione in Italia dei criminali nazisti, che sono morti da cittadini liberi. Inoltre una legge italiana del 1962 la rese indenne da pretese risarcitorie da parte delle vittime, dopo aver liquidato forfettariamente 40 milioni di marchi dell'epoca. Ma le vittime non hanno mai accettato l'impunità tedesca. La Corte Costituzionale ha dato loro ragione nel 2014, stabilendo che l'immunità per uno Stato non può valere per crimini di guerra e contro l'umanità. Negli ultimi dieci anni le cause civili contro la Germania si sono moltiplicate, ma invano. Anche se condannata, la Germania non paga. E quando il tribunale di Roma ha provato a pignorare la sede del Goethe Institut di Roma, Berlino si è rivolta alla Corte dell'Unione Europea. Per chiudere la questione, nel 2022 il governo Draghi ha istituito un fondo speciale finanziato dal Pnrr, destinato a pagare i risarcimenti al posto della Germania. Da quel momento le cause sono ripartite. Solo la class action di Sant'Anna di Stazzema ipotizza risarcimenti per circa 150 milioni di euro. Lo Stato ha appena annunciato di pagare 12 milioni alle sei vittime della strage di Fornelli, piccolo borgo in provincia di Isernia. Complessivamente, nelle 780 cause già partite in tutta Italia si stimano richieste per circa 800 milioni di euro. Chi pagherà? E quando? Oltre al paradosso che per tutelare gli interessi patrimoniali della Germania, dovrebbero essere i contribuenti italiani a pagare le vittime italiane per crimini tedeschi, restano due problemi. Primo: il decreto Draghi consente di pagare le vittime solo dopo una sentenza definitiva, mentre per le regole normali del processo civile è esecutiva già la sentenza di primo grado. Secondo: il fondo, partito con una dotazione di 55 milioni, è stato rimpinguato dal governo Meloni fino a 61 milioni. Una cifra macroscopicamente sottodimensionata. Gli avvocati delle vittime continuano a chiamare in causa la Germania, mentre si sono rivolte alla Corte Costituzionale per rivendicare un pieno diritto e la fine di ogni immunità, sia pur velata.
Ma anche la Corte Costituzionale si è dimostrata beffarda nel decidere che non verranno pignorati e venduti i beni della Germania in Italia per risarcire le vittime del Terzo Reich. Con una sentenza depositata il 20 luglio scorso ha infatti stabilito che non è illegittima l'estinzione delle procedure esecutive nei confronti di Berlino per il risarcimento dei danni per crimini di guerra e contro l'umanità commessi durante la seconda guerra mondiale. La questione di legittimità costituzionale dell'articolo 43 del dl 36 era stata sollevata dalla giudice dell'esecuzione del tribunale di Roma Miriam Iappelli, che si sarebbe dovuta pronunciare sull'autorizzazione alla vendita di immobili pignorati alla Germania a Roma (tra i quali il Goethe Institut) a seguito di sentenze di condanna al risarcimento dei danni subiti da due vittime del Terzo Reich, il fante Angelantonio Giorgio e il partigiano Gualberto Cavallina, entrambi deportati a Dachau, sentenze pronunciate dalle Corti d'appello di Bologna e della capitale. Ma prima della decisione era intervenuto il decreto e la Germania aveva chiesto in forza della nuova norma di dichiarare estinta la procedura. Alla richiesta si era associata l'Avvocatura dello Stato per conto della presidenza del Consiglio. Gli eredi delle vittime si erano opposti, sostenendo l'illegittimità della disciplina introdotta ed il 21 novembre scorso Iappelli aveva sollevato la questione di incostituzionalità prospettando la violazione degli articoli 2,3, 24 e 111 della Carta. La Consulta ha definito "non fondate" le questioni di illegittimità sollevate dalla giudice riguardo l'articolo 43 che ha istituito il Fondo in continuità con il precedente Accordo di Bonn del 1961 tra Italia e Germania, che già aveva riconosciuto indennizzi (40 milioni di marchi versati da Berlino) in favore di cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione naziste. La norma ha stabilito che può accedere al Fondo e chiedere il ristoro chi ha ottenuto, o ottiene, una sentenza passata in giudicato, avente ad oggetto l'accertamento e la liquidazione dei danni, a seguito di azione giudiziaria avviata alla data di entrata in vigore del dl 36 o comunque promossa entro il termine di decadenza prorogato fino al 28 giugno 2023. La stessa norma ha poi previsto che i giudizi di esecuzione già intrapresi e pendenti sono dichiarati estinti e non possono essere iniziate o proseguite procedure esecutive. Con la sentenza depositata oggi la Corte ha affermato che nelle procedure esecutive opera l'immunità ristretta degli Stati, come già riconosciuto in favore della Germania dalla Corte internazionale di giustizia dell'Aia, e ha ritenuto che l'estinzione di diritto delle procedure pendenti è compensata dalla tutela introdotta con l'istituzione del Fondo ristori, di importo pari alle somme liquidate con sentenze passate in giudicato. Per la Consulta la disposizione realizza un "non irragionevole equilibrio tra la tutela giurisdizionale di chi abbia ottenuto una sentenza passata in giudicato e l'obbligo del rispetto dell'Accordo di Bonn del 1961".
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