La fine della latitanza
16 Gennaio 2023 - 10:40
Le "sfortune" giudiziarie di Matteo Messina Denaro, in arte Diabolik "per via, raccontano i pentiti, di quei due mitra che voleva sistemare sul frontale della sua Alfa 164", cominciano nel 1989. Il suo debole? Le donne: all'inizio fu Andrea, una giovane austriaca che gli aveva fatto perdere la testa. Poi è arrivata Francesca, che a Matteo Messina Denaro ha dato anche una figlia. E tra una storia e l'altra nella vita del padrino ha fatto irruzione Maria che s'è presa anche una condanna per favoreggiamento per averlo ospitato e accompagnato durante la latitanza.
La cattura dell'ultimo superlatitante di Cosa nostra arriva trent'anni e un giorno dopo l'arresto di Toto' Riinan da parte dei Ros, gli stessi protagonisti oggi. Riina era rimasto libero e ricercato 24 anni, per 43 era rimasto latitante Bernardo Provenzano, non e' arrivato a compierne trent'anni esatti, Matteo Messina Denaro, che era in fuga da meta' 1993 assieme al padre, Francesco. Lui mori' il 30 novembre del 1998 in latitanza, nelle campagne di Castelvetrano (Trapani) paese di cui entrambi sono originari e Matteo lo fece trovare "conzato", pronto per la sepoltura con l'abito buono. - Per anni nella ricorrenza ha fatto pubblicare necrologi sul Giornale di Sicilia, unico segno della sua esistenza in vita, messa in dubbio da piu' di un collaboratore di giustizia ma su cui gli inquirenti del pool che gli dava la caccia mai avevano concordato o abboccato ai tentativi di far diminuire la pressione. Morto Ciccio Messina Denaro, il testimone dell'ala corleonese della provincia di Trapani era stato raccolto da Matteo: in una lettera scritta alla fidanzata dell'epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannuncio' l'inizio della sua vita in fuga. Diabolik, u Siccu, un volto invisibile, un'esistenza messa in dubbio nonostante avesse avuto una figlia, oggi ventenne. Il boss stragista, condannato per Capaci, via D'Amelio e per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano, oltre che per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito. Di lui si trovarono lettere a Bernardo Provenzano, nel covo di Montagna dei Cavalli: "Qui a Marsala (Trapani, ndr) scriveva stanno arrestando pure le sedie". Motivo per cui si diede alla sommersione, facendo il vuoto attorno a se' e interrompendo qualsiasi collegamento. Intercettazioni e biglietti su di lui sono di anni e anni fa. Non scriveva personalmente ma qualcuno che teneva i contatti per lui doveva pur esserci. Operato in Spagna all'inizio degli anni Duemila, gli investigatori erano riusciti a ricostruire quale fosse la clinica iberica e a prendere il Dna, in loro possesso e oggi potrebbe essere utilizzato come mezzo per riscontrarne l'identita'. Decine gli omicidi per cui e' stato condannato, fra questi Vincenzo Milazzo e Antonella Bonomo, che era incinta. Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell'ordine, di tutte le forze di polizia.
IL BOSS CHE AMAVA SPARARE
(di Lara Sirignano) (ANSA) - Le "sfortune" giudiziarie di Matteo Messina Denaro, in arte Diabolik "per via, raccontano i pentiti, di quei due mitra che voleva sistemare sul frontale della sua Alfa 164", cominciano nel 1989, quando figlio dell'allora più celebre padre, don Ciccio, boss di Castelvetrano, incassa la prima denuncia per associazione mafiosa. Già da allora conosciuto in ambienti investigativi, non gode ancora di "fama" pubblica, ma ha preso in mano il mandamento su delega del padre-padrino ammalato che lo avvia alla successione. Enfant prodige del crimine, destinato per legami di sangue ad assumere un ruolo in Cosa nostra, ha sempre amato sparare. A 14 anni sa maneggiare le armi, a 18 commette il primo omicidio. "Con le persone che ho ammazzato io, potrei fare un cimitero", confida a un amico. In linea con la strategia stragista dei corleonesi, dei quali, come suo padre, resterà sempre fedele alleato, è coinvolto nelle stragi del '92 in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un ruolo quello di Messina Denaro emerso solo nel, quando la Procura di Caltanissetta, che ha riaperto le indagini sugli attentati, ha chiesto la custodia cautelare per il boss di Castelvetrano e a ottobre del 2020 lo ha fatto condannare all'ergastolo per i due attentati. Secondo gli investigatori sarebbe stato presente al summit voluto da Riina, nell'ottobre del 1991, in cui fu deciso il piano di morte che aveva come obiettivi i due magistrati. I pentiti raccontano, poi, che faceva parte del commando che avrebbe dovuto eliminare Falcone a Roma, tanto da aver preso parte ai pedinamenti e ai sopralluoghi organizzati per l'attentato. Da Palermo, però, arrivò lo stop di Riina. E Falcone venne ucciso qualche mese dopo a Capaci. Un ruolo importante "Diabolik" lo ha avuto anche nelle stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Imputato e processato è stato condannato all'ergastolo per le bombe nel Continente. La sua latitanza comincia a giugno del 1993. In una lettera inquietante scritta alla fidanzata dell'epoca, Angela, preannuncia l'inizio della vita da Primula Rossa. "Sentirai parlare di me- le scrive facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue - mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità". Il padrino trapanese nella sua carriera criminale ha collezionato decine di ergastoli. Oltre a quelli per le bombe del Continente, ha avuto il carcere a vita per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito rapito da un commando di Cosa nostra, strangolato e sciolto nell'acido nel 1996 dopo quasi due anni di prigionia. Riconosciuto colpevole di associazione mafiosa a partire dal 1989, l'ultima condanna per mafia è a 30 anni di reclusione in continuazione con le precedenti. Il tribunale di Marsala per la prima volta gli ha riconosciuto la qualifica di capo nel 2012. E una pioggia di ergastoli il boss li ha avuti anche nei processi Omega e Arca che hanno fatto luce su una serie di omicidi di mafia commessi tra Alcamo, Marsala e Castellammare tra il 1989 e il 1992. (ANSA).
LE DONNE E GLI AMORI
(di Franco Nicastro) All'inizio fu Andrea, una giovane austriaca che gli aveva fatto perdere la testa. Poi è arrivata Francesca, che a Matteo Messina Denaro ha dato anche una figlia. E tra una storia e l'altra nella vita del padrino ha fatto irruzione Maria che s'è presa anche una condanna per favoreggiamento per averlo ospitato e accompagnato durante la latitanza. La presenza di tante donne traccia già il profilo di un boss "moderno" che, almeno nella vita privata, ha segnato una forte discontinuità con il sistema di valori familiari e sentimentali della mafia tradizionale. Tra tutte le donne che gli sono state attribuite, Maria Mesi è quella che forse ha contato di più nella vita di Messina Denaro. Certamente quella che non gli ha fatto mancare appassionate attestazioni di amore insieme con le tenere attenzioni di una compagna premurosa. "Sei la cosa più bella che ci sia" è il messaggio che aveva affidato a uno dei "pizzini", intercettati dagli investigatori. Maria pensava anche alle innocenti passatempi di Matteo con i videogiochi Nintendo, ancora di prima generazione. Attenzioni che si intrecciavano con le confidenze di due innamorati. Dalla corrispondenza saltata fuori in casa di Filippo Guttadauro, cognato e collegamento tra il boss latitante e il suo mondo, sono riaffiorati i pensieri intimi di una coppia per forza di cose clandestina. Maria si firmava e si faceva chiamare Mari oppure Mariella. "Avrei voluto conoscerti fin da piccola e crescere con te, sicuramente te ne avrei combinate di tutti i colori perché da bambina ero un maschiaccio", gli scriveva. Diventata grande, non ha pensato più alle marachelle. Ha diviso con Diabolik i disagi di un menage con poca intimità ma anche i rari momenti di evasione e le vacanze. Come quella di agosto 1995 in un residence messo a disposizione dal boss Vito Mazzara (il mandante dell'uccisione di Mauro Rostagno) a San Vito Lo Capo, tra la spiaggia sabbiosa, il mare e le escursioni nella suggestiva riserva naturale dello Zingaro. In questo ambiente, che era quello del suo regno criminale, Matteo Messina Denaro poteva muoversi con temeraria sicurezza perché era circondato da amici e fiancheggiatori fidati. Una sola accortezza a Vincenzo Sinacori, divenuto poi pentito, rimase nella memoria. Il padrino usava chiamare la sua donna con un altro nome, Tecla. Più rischiosa perché affrontata senza alcuna rete protettiva la vacanza in Grecia dell'anno prima, che il boss aveva organizzato sotto il falso nome di Matteo Cracolici e sempre con la compagna. Prima che Mariella lo conquistasse, la fama di uomo fatale di Diabolik aveva fatto colpo su Andrea Hasleher, giovane e bella austriaca che lavorava in un albergo di Selinunte. Matteo Messina Denaro, non ancora Diabolik ma già in carriera, frequentava l'albergo e la donna che a un certo punto si trasferì in una villa di Triscina affittata dal boss. Il cambio improvviso aveva una spiegazione: di lei si era invaghito il direttore dell'albergo, Nicola Consales, che nel 1991 sarà ucciso a Palermo con due scariche a bruciapelo dopo avere confidato ai suoi collaboratori che presto avrebbe messo alla porta "questi quattro mafiosetti" degli amici di Matteo. Le cronache di quel tragico amore raccontano che, dopo il delitto, Messina Denaro andò a trovare la sua amica in Austria. E non aggiungono altro perché intanto era nata un'altra storia con Francesca Alagna, sorella del commercialista di fiducia dell'ex patron della Valtur, Carmelo Patti, sospettato di essere un prestanome del padrino. Dalla relazione con Francesca Alagna nel 1996 Messina Denaro ha avuto una figlia Lorenza. Mai conosciuta, ha confidato a un amico, anche se la donna e la ragazza sono state accolte sin dal primo momento a casa della madre del boss a Castelvetrano. Se ne sono andate solo nel 2013. Non è stato mai chiarito se sia stato un atto di ribellione della ragazza o, come appare più probabile, una scelta causata dal fatto che madre e figlia non riuscivano più a vivere in una casa assediata da polizia e carabinieri. Nel 2021 Lorenza ha avuto un bimbo che non si chiama Matteo come il nonno. (ANSA).
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