Intelligenza artificiale

Spinapolice: «La giustizia non si automatizza, la coscienza non si replica»

Il Mattino di Basilicata

10 Giugno 2025 - 17:12

Spinapolice: «La giustizia non si automatizza, la coscienza non si replica»

C’è una linea sottile, eppure invalicabile, tra il calcolo e la coscienza. Una soglia che non andrebbe mai oltrepassata. Perché c’è un limite che separa ciò che può essere previsto da ciò che dev’essere compreso. E la giustizia, con i suoi inciampi e le sue altezze, appartiene alla seconda categoria.

Lo sa bene Giovanni Spinapolice, avvocato pugliese, giurista dei tempi digitali, studioso di frontiera dove il diritto incontra l’intelligenza artificiale. Le sue parole arrivano dopo quelle, nette e pacate, del ministro Carlo Nordio, che proprio oggi, nel corso degli Stati Generali dei Commercialisti 2025, ha messo in guardia dall’illusione di una giustizia algoritmica. E Spinapolice annuisce, ma rilancia: «Sono d’accordo con Nordio – spiega – ma il pericolo non è che l’IA ci sostituisca, è che venga usata per automatizzare l’esercizio del diritto, svuotandolo della sua natura etica e responsabile».

Cita il suo libro, “L’Ultimo Uomo e la Macchina”, e lo fa come chi non rinuncia a cercare un pensiero che resista alla corsa cieca delle soluzioni facili. L’intelligenza artificiale, dice, non va demonizzata. Ma nemmeno sacralizzata. Non può, per sua stessa costituzione, incarnare la fatica del discernimento, la tensione del giudizio, l’intuizione del giusto.

«Spesso – aggiunge – l’emergenza viene sfruttata per far passare regole che, in tempi ordinari, non avrebbero cittadinanza. Così l’opinione pubblica si convince che siano inevitabili, persino auspicabili. Ma l’azione giudiziaria non è una funzione logica. È il riflesso di una coscienza morale. E nessuna IA può farsene portatrice».

È un pensiero controcorrente. E forse per questo necessario. Spinapolice non si limita a mettere in guardia. Avanza una proposta: quella di un nuovo patto, un’architettura etica e normativa che sappia regolare la convivenza tra intelligenze naturali e artificiali. Un patto asimmetrico, fondato su un principio invalicabile: «La coscienza umana non è replicabile, né algoritmizzabile».

La chiama Etica Evolutiva Universale, e a essa affianca una Costituzione delle Intelligenze. Un nome che può suonare utopico, ma che nasconde la più concreta delle esigenze: non arrendersi all’idea che il diritto diventi statistica, che la sentenza si riduca a previsioni percentuali, che il giudizio diventi una funzione.

«La tecnologia può supportare, ma non decidere. Può agevolare, ma non interpretare il senso del bene e del giusto». In queste parole c’è una difesa. Ma anche una speranza. Quella che, nell’epoca degli algoritmi, resti ancora spazio per l’uomo. E per la sua fragile, insostituibile, coscienza.  

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